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  • Immagine del redattoredott. Di Mauro

La psicologia è una scienza?




Nel mese di agosto sono stati pubblicati diversi articoli (ad esempio qui, qui e qui) intorno al tema se la psicologia sia una scienza. Tutto è nato da un articolo che è stato scritto un anno fa dal microbiologo Alex B. Berezow, il quale nega perentoriamente che la psicologia possa essere considerata scienza. Berezow sostiene che gli psicologi siano “intellettualmente frustrati” per il fallimento della loro disciplina di poter avanzare ipotesi come avviene nelle scienze “dure” (fisica, chimica, biologia).

In fondo, la psicologia spesso non rispetta i 5 prerequisiti di base che fanno di una disciplina una scienza rigorosa: la terminologia ben definita, la quantificabilità, condizioni sperimentali controllate, la riproducibilità e la prevedibilità (e quindi la testabilità delle ipotesi). Berezow propone l’esempio delle ricerche sulla “felicità” che non è ben definita e cambia in base alla persona e alla cultura: la felicità per un siciliano non è probabilmente la stessa cosa per un veneto! Nè può essere quantificabile perché lo psicologo non può usare un microscopio o un righello… E, di conseguenza, conclude che “è impossibile per i ricercatori poter rispettare gli altri tre criteri“. Come puoi riprodurre o prevedere un fenomeno se non puoi misurarlo nè descriverlo in maniera univoca?

Berezow ammette che ogni tanto escano fuori dalla ricerca in psicologia risultati interessanti, ma è poco appropriato sostenere che stiamo parlando di scienza. Oppure dobbiamo mettere in discussione che la scienza non sia più lo studio empirico del mondo naturale? Sarebbe una operazione pericolosa, perché fuori da una precisa definizione qualunque cosa potrebbe qualificarsi come scienza. E andrebbero a farsi friggere secoli di lotte micidiali di tutti coloro che hanno pure perso la loro vita per fondare e difendere il sapere secolare da quello religioso. 

E’ un po’ strana questa questione che ciclicamente riaffiora nel dibattito tra varie personalità che si occupano di ricerca e scienza. In realtà, per me è un discorso sostanzialmente noioso e soprattutto anacronistico. Il dibattito sulla distinzione fra scienze dure come la chimica o la fisica e scienze soft come la psicologia o la sociologia appartiene più all’epistemologia del Novecento che ai giorni nostri.

Mi ha colpito l’affermazione (proprio da parte di un biologo!) che la scienza sia “lo studio empirico del mondo naturale”. Come se l’uomo, le relazioni familiari, la mente, le emozioni etc. non siano naturali, cioè non appartengano allo stesso continuum del regno animale. Anzi, sembrerebbe che solo osservandoli al microscopio o con un tubo per risonanza possiamo tentare di “naturalizzarli”. Operazione riduttiva che metterebbe alle porte tropppa roba. Anzi, diciamoci la verità, molti “scienziati” tirano fuori il riduzionismo non per motivi epistemologici, ma perché non conoscono in modo approfondito tutto ciò che non sia materia del loro campo di indagine. E’ un riduzionismo psicologico?


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Riduciamo tutta la complessità della sfera psichica ad una questione di strumenti o di parole chiare condivise da tutti. Ma non è un’idea sostenibile. Un chimico non può spiegare col suo microscopio come si forma una depressione, nè un fisico può spiegare come avviene una decisione. Così come io psicologo non mi sognerei mai di descrivere in termini psicologici una reazione chimica. Oppure stiamo forse sostenendo che una cosa sono i (sacri) numeri e un’altra cosa sono le (vacue) parole utilizzate in psicologia?

In fondo molti temi trattati dagli psicologi fanno sospettare che non si discostino molto da quello che il buon senso o la chiacchiera da bar suggerisce. Sembra tutto facile, soprattutto quando viene allegata la foto spettacolare di una risonanza magnetica. Nei media, poi, la psicologia ha una pessima rappresentanza e ormai sappiamo che i politici non hanno ancora chiaro cosa sia uno psicologo. Infine, l’università è ancorata ad un sistema di teorie vecchiotte e ovviamente esclude una preparazione basata sull’esperienza.

Ma anche questa è solo una visione parziale della situazione. Come ho scritto, anche questo è un discorso appartenente più al passato che al presente. Ogni giorno vengono pubblicati decine di articoli di ricerca in psicologia e nessuno si sognerebbe di sostenere che siano delle patacche. Non tutto è metodologicamente accurato? Come in ogni branca scientifica, la psicologia è migliorabile, perché fa bene il suo lavoro critico. Per ogni aspetto cui dedica attenzione, il ricercatore psicologo fornisce modelli di spiegazione fallibili utilizzando un metodo sperimentale che consente di rendere intersoggettivo il proprio lavoro sperimentale.


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La cosa buffa è che quel vecchio dibattito novecentesco sulla “consistenza” delle scienze (hard vs. soft) è vivo proprio dentro la comunità degli psicologi. Non tutti i colleghi sono d’accordo sul fatto che la psicologia sia scienza. Discorso analogo per un’importante fetta di psicoterapeuti, cioè coloro che lavorano su questioni più interne alla persona ovvero su fatti ancora più lontani dalla “vista”. E’ una corrente intellettuale (con un’importante storia alle spalle) che si avvicina parecchio alla concezione “filosofica” della psicologia . Ma è anche la constatazione di chi si occupa di clinica ad esempio. L’uomo è un cervello che “incanta”, racconta storie, storie da comprendere, ricostruire e scomporre, da evocare e trasformare. Storie che non si fanno scrupolo a dimenticarsi del loro autore. La psicoterapia è più vicina all’arte che alla scienza.

Insomma, la psicologia è una roba stranissima. Può occuparsi elegantemente dell’uomo facendo scienza serissima e nello stesso tempo diventare “interpretazione” di fatti soggettivi e culturali. Lo psicologo può studiare scientificamente e non scientificamente l’oggetto di studio, che può essere osservato oggettivamente e allo stesso tempo essere descritto in termini di esperienza soggettiva. E’ la stevensioniana natura della psicologia che spaventa da un lato gli scienziati amatoriali e dall’altro gli psicologi che amano troppo la filosofia.


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Forse la domanda pià corretta è chiedere se la psicologia funzioni. In base all’enorme numero di esperimenti, ai controlli incrociati, alla preparazione decennale (dello psicoterapeuta) e, come avviene in ogni disciplina, all’esperienza sul campo, la psicologia funziona anche grazie ai suoi fallimenti teorici e clinici. Perché non è un sapere dogmatico ma “critico”, cioè disponibile ad essere messo in discussione e soprattutto generatore di ibridi interdisciplinari innovativi e promettenti per la salute dell’uomo.

Chiedere se la psicologia sia scienza suona un po’ come chiedere se un quadro sia bello. In effetti, la psicologia può chiederselo non perché sia “sventata”, ma perché ha creato una confederazione di sottodiscipline psicologiche dall’enorme potere esplorativo, esplicativo, terapeutico. Il sonno, le emozioni, la psicopatologia, la personalità, la decisione, l’influenza sociale, la memoria, la coscienza, il linguaggio, la metacognizione, l’immaginazione, le neuroscienze e altre ancora sono tutti territori della psicologia. E come in ogni disciplina scientifica, l’integrazione è un esercizio difficile.

La psicologia è una scienza che produce scienze, il cui obiettivo “scientifico” sia che si controllino l’un l’altra. Lo scopo strategico è quello di funzionare sempre meglio per ridurre la sofferenza e guadagnare un po’ di salute.


link all’articolo di Berezow


Questo articolo è stato pubblicato anche su Neuromancer, storie di psichiatria, psicologia e neuroscienze


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